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Maturità 2019

Quale sarà l'autore con cui dovremo misurarci quest'anno nella seconda prova?

Non possiamo dirlo con sicurezza perché non abbiamo la sfera di cristallo, ma proviamo ad indovinare lo stesso.

Come primo autore proponiamo Cicerone

Troppo cibo fa male come ogni forma di eccesso

Civitates quaedam universae more doctae parsimonia delectantur. Persarum a Xenophonte victus exponitur, quos negat ad panem adhibere quicquam praeter nasturcium. Quamquam, si quaedam etiam suaviora natura desideret, quam multa ex terra arboribusque gignuntur cum copia facili, tum suavitate praestanti! Adde siccitatem, quae consequitur hanc continentiam in victu, adde integritatem valetudinis; confer sudantis ructantis refertos epulis tamquam opimos boves: tum intelleges, qui voluptatem maxime sequantur, eos minime consequi, iucunditatemque victus esse in desiderio, non in satietate. Timotheum, clarum hominem Athenis et principem civitatis, ferunt, cum cenavisset apud Platonem eoque convivio admodum delectatus esset vidissetque eum postridie, dixisse: 'Vestrae quidem cenae non solum in praesentia, sed etiam postero die iucundae sunt.' Quid quod ne mente quidem recte uti possumus multo cibo et potione completi? Est praeclara epistula Platonis ad Dionis propinquos, in qua scriptum est his fere verbis'. Quo cum venissem, vita illa beata, quae ferebatur, plena Italicarum Syracusiarumque mensarum, nullo modo mihi placuit, bis in die saturum fieri nec umquam pernoctare solum ceteraque, quae comitantur huic vitae, in qua sapiens nemo efficietur umquam, moderatus vero multo minus. Quae enim natura tam mirabiliter temperari potest?' Quo modo igitur iucunda vita potest esse, a qua absit prudentia, absit moderatio? Ex quo Sardanapalli, opulentissimi Syriae regis, error adgnoscitur, qui incidi iussit in busto:

'Haec habeo, quae edi, quaeque exsaturata libido  

Hausit; at illa iacent multa et praeclara relicta.' 

 

Cicerone, Tusculanae disputationes 5. 99-101

 

 

Ed ecco la traduzione letterale

                                                            

Dei popoli interi, ammaestrati dalla consuetudine, si compiacciono della parsimonia. Da Senofonte è descritto il vitto dei Persiani che afferma che non aggiungono nulla al pane eccetto il crescione. Per quanto, se la natura sentisse il desiderio anche di cose più gustose, quanti prodotti nascono dalla terra e dagli alberi non solo in grande abbondanza ma anche di straordinaria bontà! Aggiungi l’asciuttezza (del corpo) che tiene dietro a questa continenza nel vitto, aggiungi l’integrità della salute; confronta (con queste) quelli che sudano e ruttano rimpinzati di cibi come buoi grassi: allora capirai che quelli che inseguono soprattutto il piacere, non lo raggiungono affatto e che la piacevolezza del vitto sta nel desiderio, non nella sazietà. Narrano che Timoteo, uomo famoso ad Atene e uno dei più ragguardevoli (lett.: singolare) della città, avendo cenato da Platone ed essendosi molto compiaciuto di quel banchetto e avendolo visto il giorno dopo, disse: “Davvero le vostre cene sono piacevoli non solo sul momento ma anche il giorno dopo”. E che (dire) del fatto che non possiamo usare bene neppure la mente, dopo aver molto mangiato e bevuto (lett.: pieni di molto cibo e bevanda)? C’è una famosissima lettera di Platone ai parenti di Dione nella quale è scritto più o meno con queste parole: “Dopo essere giunto lì, non mi piacque in nessun modo quella vita felice, che era raccontata, piena di cibi italici e siracusani, diventare sazio due volte al giorno, non passare mai la notte da solo e tutte le altre cose che si accompagnano a questa vita nella quale nessuno mai diventerà (lett.: sarà reso) sapiente, moderato, poi, molto meno. Quale natura infatti potrebbe essere regolata in modo tanto mirabile?”. In qual modo, dunque, può essere piacevole una vita dalla quale sia assente la saggezza, sia assente la moderazione? Da ciò si riconosce l’errore dei Sardanapalo, il ricchissimo re della Lidia, che ordinò di incidere sul (suo) sepolcro:

“Ho le cose che ho mangiato e quelle che la brama saziata

ha divorato; ma quei molti e magnifici (miei) beni giacciono abbandonati”.

 Brano analogo per contenuti troviamo in Plutarco, De tuenda sanitate  127b-d

 

Il tema della moderazione e del giusto mezzo è caro sia alla letteratura latina che a quella greca

 

Vai anche a Quintiliano

a Quintiliano 1

a Cicerone

e a Seneca


 

 

 

 

   

 

 

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