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Trama del frammento superstite (libri 14, 15, 16?)

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In un portico di una non meglio identificata "Graeca urbs" (Napoli?), lo studente Encolpio sta discutendo pubblicamente con il maestro di retorica Agamennone sulle colpe della scuola nei confronti della decadenza dell'arte e dell'oratoria [tema-chiave della cultura dei primi secoli imperiali, N.d.R.]. Accortosi all'improvviso che l’amico e compagno di studi Ascilto se l'è svignata, Encolpio va a cercarlo. Lo ritrova poco dopo in un bordello.

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Gìtone in lacrime rivela al “fidanzato” Encolpio che la sua virtù è stata insidiata da Ascilto. I due rivali litigano, ma poi si riappacificano. Tuttavia Encolpio medita di sbarazzarsi di Ascilto, per poter rimanere solo con Gìtone.

Un giorno, mentre Encolpio ed Ascilto sono al mercato e tentano (con successo) di recuperare una preziosa tunica che è stata loro rubata, vengono adocchiati da una misteriosa donnetta. Si scopre subito dopo che costei è ancella della matrona Quartilla, dedita al culto di Priàpo, di cui, come ora apprendiamo, Encolpio ha violato i misteri (appunto per questo è stato punito con la scarsa virilità che attualmente lo affligge, destinata ben presto a trasformarsi in vera e propria impotenza).

I tre compagni vengono pertanto raggiunti, nel loro albergo, da Quartilla in persona, accompagnata da due sue ancelle. La matrona, con il pretesto di doversi  procurare un rimedio per la febbre terzana inflittale dal dio adirato, adesca i giovani e li tiene segregati per tre giorni in casa sua, sottoponendoli ad ogni sorta di fatiche amatorie.

Stremati, i tre riescono infine ad evadere. Immediatamente vengono invitati ad una cena in casa del ricchissimo liberto Trimalcione.

Al loro arrivo il padrone di casa sta giocando a palla. Durante il bagno di costui i tre amici entrano nella sua casa, di un lusso sfrenato e di un indescrivibile cattivo gusto, dove miriadi di servi azzimati ed entusiasti "cantano come un coro pantomimico". Quando ormai sono tutti a tavola, entra Trimalcione ed ha inizio la cena. Questa è costituita da una interminabile serie di portate una più stravagante dell'altra, presentate con una coreografia stucchevolmente teatrale e bizzarra oltre ogni dire. "En passant", Trimalcione fa sfoggio delle sue qualità di "parvenu" della cultura, ad esempio sputando sentenze sulle caratteristiche dei vari segni zodiacali. Poi annuncia a tutti i commensali che deve congedarsi per andare al gabinetto (al suo ritorno giustificherà la lunga assenza con un attacco di diarrea flatulenta, sulle cui modalità intratterrà dettagliatamente i convitati). Rimasti soli, i commensali (tutti liberti come Trimalcione, a parte poche eccezioni) imbastiscono una terribile conversazione a base di luoghi comuni, che Encolpio ed Ascilto, raffinati scholastici [press’a poco l’equivalente degli odierni studenti universitari, N.d.R.], sopportano con malcelato strazio.

Al suo ritorno, Trimalcione riprende a fare sfoggio di cultura e raffinatezza, mentre si alternano portate sempre più bislacche ed intrattenimenti di vario genere. Ad un certo punto Ascilto, non riuscendo più a trattenersi, scoppia a ridere, ma viene duramente rimbeccato da uno degli ospiti, con l'argomento che - in buona sostanza - la cultura non fa soldi.

Invitati da Trimalcione, instancabile animatore della festa, alcuni commensali raccontano delle storie. Dopo un'altra serie di bizzarrie e lepide spiritosaggini, Trimalcione annuncia solennemente che, dopo la sua morte, farà liberare tutti i suoi servi, e per provare la veridicità di quanto afferma dà lettura del suo testamento. Tutti scoppiano in lacrime. Per consolarli, Trimalcione propone loro un bel bagno caldo. A questo punto Encolpio, Ascilto e Gìtone, francamente nauseati, cercano di scappare, ma inutilmente. Si entra anzi in un'altra sala da pranzo, dove, fra l'altro, ha luogo un violento litigio fra Trimalcione e sua moglie Fortunata (di cui fino a questo momento egli ha detto ogni bene), per un bacio dato da lui ad un grazioso servetto

Trimalcione pronuncia quindi un panegirico di se stesso, alla fine del quale, fattisi portare gli abiti da morto, organizza seduta stante un’anteprima del suo funerale. Nel corso del compianto funebre un servo lancia urla così strazianti che i vigili del fuoco accorrono, facendo irruzione in casa ed inondandola d'acqua.

Per Encolpio, Ascilto e Gìtone è l'occasione propizia per svignarsela.

Ubriachi e sfatti, raggiungono l'albergo. Qui Ascilto, approfittando della spossatezza di Encolpio, passa la notte a letto con Gìtone. Al suo risveglio Encolpio vorrebbe ucciderlo, ma, con sua enorme sorpresa, è Gìtone stesso a decidere di andarsene con Ascilto, che, per così dire, dispone di argomenti più convincenti.

Solo e disperato, Encolpio si trasferisce in una locanda in riva al mare. Per consolarsi visita una pinacoteca, dove incontra il vecchio poeta Eumolpo, con cui imbastisce una dotta conversazione sulla decadenza delle arti figurative. L'anziano poeta gli racconta una storia licenziosa, la fabula Milesia del fanciullo di Pergamo. Quindi gli illustra in versi uno dei quadri ("La caduta di Troia"), ma viene cacciato via a sassate dai presenti.

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Ai bagni pubblici, dove si è recato con Eumolpo, Encolpio incontra Gìtone, che lo supplica di riprenderlo con sé: Encolpio, più innamorato che mai, non se lo fa ripetere e lo porta via all'insaputa di Ascilto. Ma anche Eumolpo si invaghisce di Gìtone, ed Encolpio deve ricorrere a tutta la sua astuzia per sottrarre il suo adorato efèbo alle ricerche di Ascilto ed alle turpi voglie di Eumolpo. 

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Encolpio, Eumolpo e Gìtone (il nuovo terzetto d’ora in poi) s'imbarcano su una nave diretta a Taranto, senza sapere che essa è di proprietà di Lica e di sua moglie Trifèna, due vecchie conoscenze di Encolpio e Gìtone che, per motivi esposti nei libri precedenti, li odiano a morte.

Atterriti, i due giovani si camuffano goffamente da schiavi, ma vengono riconosciuti a causa della “menomazione” di Encolpio. Dopo aver corso seri pericoli, si riappacificano con i loro persecutori, grazie soprattutto al fatto che Trifèna, un tempo amante di Encolpio, ha ora un vistoso debole per Gìtone. Encolpio è costretto a soffrire, senza poter reagire, le opposte pene della gelosia e dell’umiliazione, di fronte alle tenerezze di Trifèna per Gìtone ed al disinteresse che la sua ex-amante gli dimostra. Per rasserenare l'atmosfera, alquanto tesa, Eumolpo racconta un'altra fabula Milesia, quella della matrona di Efeso.

Ma all’improvviso si scatena una tempesta: Lica cade in mare ed annega; Trifèna si mette in salvo su di una scialuppa; Encolpio, Eumolpo e Gìtone fanno naufragio nei pressi di Crotone.

Qui apprendono che gli abitanti della città si sono specializzati nell’esercizio di un’attività non proprio edificante: quella di cacciatori di eredità. Ad ogni buon conto, Eumolpo è pronto ad approfittarne ed organizza un piano: si farà credere ricchissimo e malato, mentre Encolpio e Gìtone si fingeranno suoi servi; in questo modo gli avidi Crotoniati lo circonderanno di ogni attenzione, nella speranza di essere nominati suoi eredi.

Durante il tragitto verso Crotone, Eumolpo declama un suo "Bellum civile" in versi [N.B.: parodia di quello di Lucano?]. Giunto in città, viene presto subissato dalle attenzioni degli abitanti, che, secondo i suoi piani, lo ricoprono di doni.

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Encolpio, che si presenta ora sotto il falso nome di Polièno, conosce la bellissima Circe e se ne innamora, ricambiato. Ma la sua scarsa virilità, che si manifesta ora in tutta la sua drammatica evidenza, gli impedisce di tradurre in realtà il suo sogno; né le cose vanno meglio con Gìtone. Circe lo respinge, indignata ed offesa.

Una vecchia libera temporaneamente il giovane dalla maledizione di Priapo, ed egli ha così modo di farsi perdonare da Circe. 

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Encolpio, che ha perso evidentemente di nuovo la virilità, viene cacciato di casa da Circe. Recatosi in devoto pellegrinaggio al santuario di Priapo, conosce la vecchia sacerdotessa Enotèa, che lo sottopone ad un complicato rituale magico, ma senza successo. 

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Il favore di Mercurio, per motivi ignoti, restituisce la virilità ad Encolpio. 

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Poiché i cittadini di Crotone cominciano a spazientirsi e ad insospettirsi, Eumolpo si decide a fare testamento. Quando questo viene letto [N.B.: non si capisce se a questo punto Eumolpo sia morto davvero o si finga tale!], si viene a sapere che ha designato come suo erede chiunque mangerà il suo cadavere.

Ma ci vuol altro per scoraggiare gli abitanti di Crotone. Infatti...

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Reliqua desiderantur.

 

   

 

   

 

 

 

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