Una battaglia tra Romani ed Elvezi con fasi alterne- da Cesare

Cesare, allontanato dalla vista prima il suo cavallo poi i cavalli di tutti per togliere la speranza di fuga con l’uguaglianza del pericolo per tutti (lett.: uguagliato il pericolo di tutti), esortati i suoi, attaccò battaglia. I soldati da un luogo superiore scagliati i giavellotti facilmente fecero a pezzi la falange dei nemici. Dopo averla scompigliata, impugnate le spade, fecero impeto contro di loro. Per i Galli era di grande impedimento per la battaglia il fatto che essendo stati trafitti e collegati da un unico lancio di giavellotti parecchi loro scudi, essendosi il ferro piegato, non riuscivano a svellerli e con la sinistra impedita (oppure: essendo la sinistra impedita) non potevano combattere abbastanza agevolmente, al punto che molti, dopo aver agitato a lungo il braccio preferivano gettar di mano lo scudo e combattere a corpo scoperto. Finalmente stremati dalle ferite incominciarono a ritirarsi (lett.: portare indietro il piede) e, poiché vi era un monte a circa mille passi, incominciarono a ripararsi là. Preso il monte, e incalzando i nostri, i Boi e i Tulingi assaliti i nostri dal fianco scoperto incominciarono ad accerchiarli. E, avendo visto ciò, gli Elvezi, che si erano rifugiati sul monte, di nuovo incominciarono ad incalzare e a riattaccare battaglia.

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