Epicuro ci ha liberati dal terrore degli dèi - Cicerone  

Dio non fa nulla, non è coinvolto in nessuna attività, non si occupa di nessun lavoro, gode della sua saggezza e della (sua) virtù. Giustamente diremo (che) questo dio (è) felice, mentre (definiremo) il vostro (Dio) molto indaffarato. Infatti avete posto sopra le nostre teste un padrone eterno, da temere giorno e notte1. Chi non temerebbe un Dio che pensa e provvede a tutto, che osserva (tutto) e che pensa che tutto lo riguardi, (un Dio) intrigante e mai tranquillo2? Da qui è nata per voi prima di tutto quella (= la ben nota) necessità del fato; segue la divinazione, a causa della quale, se volessimo darvi retta, saremmo intrisi di tanta superstizione, da dover venerare gli aruspici, gli àuguri, gli astrologi, gli indovini, gli interpreti dei sogni. Sciolti da queste paure grazie ad3 Epicuro e messi in libertà, non temiamo quegli (dèi) che comprendiamo che non cercano alcun fastidio, e con devozione e religiosità veneriamo la (loro) natura eccellente e superiore.

 

Soluzione dell'esercizio:

dixerimus = futuro anteriore in proposizione principale; piuttosto frequente in Cicerone, serve a conferire maggior forza all’affermazione. Meno probabile che si tratti di un congiuntivo indipendente potenziale (in cui il perfetto equivale al presente), come altri sostengono;

timeat = congiuntivo potenziale;

quem dies et noctes timeremus = relativa impropria finale  (= perchè lo temessimo) o consecutiva intenzionale (= di modo che lo temessimo). Si potrebbe anche tradurre con "dovremmo temere", ma in questo caso fungerebbe da apodosi di un periodo ipotetico tipo: "dovremmo temere, se ci credessimo";

qua tanta inbueremur superstitione (si vos audire vellemus) = proposizione relativa che costituisce l'apòdosi di un periodo ipotetico del terzo tipo (irrealtà). Il periodo è da considerare alla stregua di uno indipendente, appunto perché la relativa per sua natura ha l'indicativo;

essent colendi: perifrastica passiva; il congiuntivo è dovuto al fatto che la proposizione è una consecutiva (introdotta da ut); lo si rende bene in forma implicita (con l'infinito), oppure in forma esplicita con il condizionale, perché la conseguenza è anch'essa ipotetica ed irreale (fa ancora parte, idealmente, del precedente periodo ipotetico dell'irrealtà).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Nota 1
che noi temessimo i giorni e le notti;

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Nota 2
pieno di attività; 

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Nota 3
da.

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