"Mentre il mio padrone - disse - governava la provincia (d') Africa con la carica di proconsole, io là fui costretto alla fuga dalle sue ingiuste fustigazioni quotidiane1, e mi ritirai in campagne e distese di sabbia deserte2. Allora, (poiché) il sole di mezzogiorno (era) rabbioso e infocato, imbattutomi in una caverna fuori di mano e nascosta, vi penetrai3 e mi nascosi4. E dopo non molto, alla medesima caverna, arrivò questo leone, con una zampa ferita e sanguinante, emettendo gemiti e lamenti che esprimevano il tormento della ferita. Dopo che il leone, entrato in quella (che era) - come risultò chiaro dalla situazione stessa - (la) sua tana, mi vide5 cercar di nascondermi in fondo, (mi) si avvicinò mite e mansueto e sembrò mostrarmi e porgermi la zampa sollevata come per chiedere aiuto. Allora io estrassi una enorme scheggia di legno conficcata nella pianta della sua zampa, feci uscire dal fondo della ferita il sangue infetto formatosi e con una certa cura6, ormai senza grande timore, (la) asciugai a fondo e (la) ripulii (del) sangue rappreso. Allora (il leone), confortato da quella mia opera di medicazione7, posta la zampa fra le mie mani, si sdraiò e si addormentò, e da quel giorno io ed il leone vivemmo per tre anni interi nella medesima caverna ed anche del medesimo cibo."