Ma come: lo scita Anacarsi poté stimare nulla il denaro, (e) non potranno fare altrettanto i filosofi del nostro mondo civile1? Si tramanda una sua lettera che contiene queste parole2: “Anacarsi saluta3 Annone. Mi fa da vestito il mantello scitico4, la (mia) calzatura (è) il callo delle piante dei piedi, il (mio) letto la terra, il (mio) companatico la fame; mi nutro di latte, formaggio, carne. Perciò codesti doni dei quali ti compiaci5, regala(li) o ai tuoi concittadini o agli dèi immortali”. Quasi tutti i filosofi di tutte le scuole ebbero questa stessa disposizione d’animo6. Socrate, mentre veniva portata in processione una gran quantità di oro e di argento, disse: “Di quante cose non sento la mancanza!” Senocrate, dopo che degli ambasciatori (mandati) da Alessandro gli avevano portato cinquanta talenti, che erano7 una grandissima somma di denaro a quei tempi, soprattutto ad Atene, condusse gli ambasciatori a cena nell’Accademia; fece servire loro quel tanto che era sufficiente, senza alcuna ricercatezza. Poiché il giorno dopo gli chiedevano a chi volesse8 che fosse versato il denaro, disse: “Come?9 Voi dalla cenetta di ieri non avete capito che io non ho bisogno di denaro?”. Ma avendoli visti piuttosto tristi, accettò trenta mine, per non dare l’impressione di disprezzare10 la generosità del re.