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da "Le metamorfosi" o "L'asino d'oro" 

di Apuleio

(I parte)

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C'erano una volta in una città un re e una regina, che avevano tre figlie bellissime.

Le due più grandi, anche se molto belle, si poteva riuscire ad esaltarle con parole umane, mentre la bellezza della più giovane era così straordinaria, così fuori del comune che il linguaggio umano appariva insufficiente e povero non solo a descriverla, ma anche solo a lodarla.

Così molti cittadini e molti forestieri accorrevano in gran numero attratti dalla fama di quella bellezza rara, e a vederla così incantevole restavano stupefatti ad ammirare quel meraviglioso prodigio: accostavano la mano alla bocca con l'indice sul pollice disteso e la veneravano stando in adorazione, come avrebbero fatto dinanzi alla stessa Venere1.
Nelle città vicine e nelle regioni attigue si era già sparsa la voce che la dea nata dall'abisso azzurro del mare e nutrita dalla rugiada delle onde spumeggianti era discesa sulla terra e si aggirava tra la gente concedendo a tutti la grazia della sua divina presenza, o che invece non il mare ma la terra stavolta aveva prodotto da un nuovo germe di stille celesti una nuova Venere, fiorita nell'incanto della sua verginità.
Di giorno in giorno la sua fama andava crescendo smisuratamente e si propagava diffondendosi nelle isole vicine e da un luogo all'altro nel continente. Già molta gente intraprendeva lunghi viaggi attraversava profondi tratti di mare per vedere quella grande meraviglia del secolo. Nessuno andava più a Pafo, nessuno a Cnido e neppure a Citera ad adorare la dea Venere; i sacrifici venivano rinviati, i templi erano in abbandono, i sacri letti calpestati, le sacre cerimonie trascurate; le statue erano lasciate senza corone di fiori, nessuno si accostava più agli altari, imbrattati di cenere spenta.
Invece si invocava una fanciulla, nel cui aspetto umano si intendeva adorare una dea; e la mattina quando la fanciulla appariva, veniva venerata con sacrifici e offerte al posto di Venere; quando poi passava per le piazze, il popolo assiepato le rivolgeva preghiere e lanciava fiori sciolti o legati in mazzetti.
Questo esagerato trasferimento di onori divini ad una fanciulla mortale irritò terribilmente l'anima della vera Venere, che, fremente di sdegno e scuotendo la testa, piena di indignazione, così diceva tra sé: "Io dunque, madre antica della natura, io origine prima degli elementi, io, la Venere che nutre tutto l'universo, sono costretta a dividere con una fanciulla mortale la gloria della mia maestà? E il mio nome celebrato nel cielo è profanato da nefandezze terrene! E devo sopportare che a una sostituta si facciano sacrifici e che una ragazza destinata a morire porti in giro la sua persona come se fosse la mia immagine! Invano dunque quel pastore2 la cui giustizia e lealtà fu approvata dallo stesso sommo Giove, mi scelse a preferenze di dee tanto grandi per la mia singolare bellezza? Ma non durerà a lungo nella sua felicità costei, chiunque essa sia che si sta godendo gli onori a me dovuti! Ci penserò io a fare in modo che debba pentirsi perfino della sua illecita bellezza".
E senza por tempo in mezzo chiama quel suo figlio alato e scanzonato il quale, non curandosi della pubblica moralità coi suoi cattivi costumi, va in giro di notte armato di frecce e di fiaccole nelle case degli altri, profana i letti nuziali e impunemente ne combina di tutti i colori, senza fare mai niente di buono. Già per natura sfrenato e insolente divenne ancora più forsennato in seguito ai discorsi che gli fece la madre, che poi lo condusse in quella città, gli fece vedere da vicino Psiche (questo era infatti il nome della fanciulla), e dopo avergli raccontato tutta la storia di quella specie di concorso di bellezza, gemendo e fremendo di sdegno gli disse: " Io ti scongiuro per il tuo affetto di figlio che mi devi, per le dolci ferite delle tue frecce, per le soavi bruciature che fa la tua fiaccola, vendica tua madre, ma di una vendetta completa, e punisci duramente quella bellezza arrogante. Tu devi fare una sola cosa: far innamorare perdutamente questa fanciulla di un uomo che sia il più vile di tutta la terra, un uomo che il destino abbia condannato alla povertà, al disprezzo di tutti, alla galera, e che sia tanto abietto da non potersi trovare in tutto il mondo un miserabile come lui".
Detto questo baciò a lungo il figlio stringendoselo stretto, poi si diresse alla spiaggia vicina battuta dalle onde, e sfiorando coi rosei piedi la tremula superficie delle acque, si fermò all'asciutto sopra l'alto mare profondo. E subito, non appena ella lo volle e come se l'avesse da tempo comandato, venne a lei l'ossequio del mare: le si fecero intorno le Nereidi cantando in coro, e Portuno con la sua barba ispida e azzurra, e Salacia col grembo traboccante di pesci, e il piccolo Palemone a cavallo di un delfino. I Tritoni saltavano a schiere qua e là sul mare: uno zufolava dolcemente in una conchiglia sonora, un altro con un drappo di seta la riparava dal calore eccessivo del sole, un altro ancora teneva uno specchio sotto gli occhi della dea, altri ancora a pariglia nuotavano tirando il suo carro. Questo corteo accompagnava Venere verso l'Oceano.
Frattanto Psiche non ricavava alcun frutto da quella sua bellezza straordinaria di cui era ben consapevole. Era guardata da tutti, tutti ne tessevano le lodi, ma non c'era nessuno, né re né figlio di re, e neanche un uomo qualsiasi che si presentasse a chiedere la sua mano. Ne ammiravano la divina bellezza, ma la ammiravano come quella di una statua splendidamente scolpita. Le sue sorelle maggiori, la cui modesta bellezza non era diventata oggetto di tante chiacchiere, erano state richieste da prìncipi di sangue reale e si erano felicemente maritate; ma Psiche rimasta in casa, vergine e sola, non faceva altro che piangere nella sua desolata solitudine. Sofferente nel corpo, ferita nell'anima, odiava quella sua bellezza che piaceva tanto a tutti. Perciò il padre infelice di quella fanciulla sventurata, sospettando un qualche odio divino e temendo l'ira degli dei, andò ad interrogare l'antichissimo oracolo del dio di Mileto3 e con preghiere e sacrifici chiese a questo potente dio un matrimonio e un marito per la fanciulla che nessuno voleva. Ma Apollo anche se greco e ionico, per riguardo dell'autore di questa storia milesia, diede il suo responso in latino, così:


"Sopra un'alta montagna lascia, o re, la fanciulla ornata per le nozze di abiti funerei. Non aspettarti un genero nato da stirpe mortale, ma un crudele, un feroce, un mostro viperino, che volando con le ali nel cielo dà il tormento a tutti e con ferro e con fuoco distrugge ogni cosa; che lo stesso Giove teme, di cui gli dei hanno il terrore e anche i fiumi infernali e le tenebre dello Stige".


Il re, prima felice, non appena ricevette il responso dell'oracolo, tornò a casa addolorato e triste, e raccontò alla moglie l'ordine infausto ricevuto dal dio.
Per parecchi giorni tutti non fecero altro che affliggersi, piangere, lamentarsi, ma bisognava purtroppo obbedire al lugubre vaticinio.
Furono preparate per la miserabile fanciulla le nozze funebri, e già la luce delle fiaccole si smorza sotto la cenere della nera fuliggine, il suono del flauto nuziale si trasforma nel lamentoso motivo della Lidia4, e il lieto inno dell'Imeneo in un lugubre ululato, mentre la promessa sposa si asciuga le lacrime col velo.
Tutta la città si unisce al dolore della famiglia colpita da un tremendo destino, mentre vengono sospesi i processi già iniziati nei tribunali, in segno di lutto cittadino.
Si doveva obbedire agli ordini del dio, e la povera Psiche doveva sottomettersi al suo crudele destino.
Finirono dunque, nell'angoscia generale, i preparativi di quelle nozze funebri, e si procedette alle esequie di una persona viva, con il concorso di tutto il popolo. Psiche, in lacrime, veniva accompagnata non al corteo di nozze ma all'accompagnamento funebre.
I genitori afflitti e colpiti da una sciagura così grande esitavano a compiere quell'orrendo misfatto, ma la stessa fanciulla li esortò con queste parole: "Perché volete affliggere la vostra vecchiaia con questi pianti interminabili? Perché con queste urla disperate vi consumate la vita, che è più mia che vostra? Perché sciupate con queste lacrime inutili il vostro volto per me venerando? Perché straziate i miei occhi nei vostri? Perché vi strappate quei bianchi capelli? Perché vi percuotete il petto, quel vostro santo seno? È questo dunque il premio inestimabile per la mia rara bellezza? È troppo tardi ora per comprendere, ora che siete stati colpiti da un colpo mortale inferto da una funesta invidia. Quando popoli e nazioni mi tributavano onori divini, quando tutti in coro mi chiamavano nuova Venere, allora dovevate preoccuparvi, allora dovevate piangere e vestirvi a lutto per me come se fossi già morta. Ora sento, ora vedo che soltanto per quel nome di Venere io sono perduta! Conducetemi su quella rupe che il mio destino mi ha assegnato, e lasciatemi lì. Ormai ho fretta di giungere a quelle nozze felici, ho fretta di vederlo, questo mio nobile marito! Perché indugio, perché mi sottraggo a colui che mi viene incontro, nato per la rovina del mondo intero?".
Detto ciò la vergine tacque e con passo ormai sicuro si mescolò agli altri nella folla che l'accompagnava nella processione funebre. Giunsero alla rupe destinata, in cima a un'alta montagna, sulla cui sommità venne deposta la fanciulla. Tutti poi se ne andarono abbandonandola e lasciando lì anche le fiaccole nuziali, spente dalle loro lacrime, le stesse con cui prima avevano rischiarata la strada; e s'avviarono a capo chino verso le loro case.
I genitori della fanciulla, straziati da una sorte così crudele, si ritirarono nell'ombra della reggia chiusa, condannandosi a una notte senza fine.
Ma Psiche, mentre impaurita e tremante ancora piangeva a dirotto sulla cima della rupe, ecco che sente un dolce soffio di Zefiro alzarsi lievemente e agitarle da ogni parte il lembo della veste che, gonfiato come una vela, la sollevava con suo leggero alito e facendola scivolare a poco a poco lungo il pendio dell'erta rupe, la depone con dolcezza nel grembo di un prato fiorito della valle sottostante.



Il palazzo incantato

 

Psiche, soavemente adagiata in quel morbido prato su un letto di tenere erbe, sentì placarsi l'angoscia dell'animo e dolcemente si addormentò. Poi, ristorata da quel placido sonno, si alzò con l'animo rasserenato.

Vide un bosco fitto di alberi alti e grandi, vide una sorgente luccicante di acque cristalline, e nel mezzo del bosco, vicino al luogo dove sorgeva la sorgente, vide una reggia, non certo costruita da uomini, ma opera di dei.

Subito, all'entrata, si capiva con certezza di trovarsi nella dimora splendida e deliziosa di un qualche dio. Infatti gli alti soffitti intagliati con finezza in legno di cedro o in avorio erano sorretti da colonne d'oro, e le pareti erano tutte di argento cesellato, e vi erano raffigurate belve a altri animali che sembravano venire incontro a chi entrava. Certamente un uomo straordinario, anzi forse un semidio se non un dio aveva raffigurato quelle belve d'argento con un'eccezionale finezza artistica. Anche i pavimenti, tutti di mosaico fine e prezioso, rappresentavano pitture di ogni genere. Beati due, tre, cento volte beati quelli a cui è consentito passeggiare su gemme e monìli di quelle specie! Ma anche le altre parti di quella casa, che si estendevano in lungo e in largo, avevano un prezzo inestimabile, e tutti i muri, d'oro massiccio, mandavano riflessi fiammeggianti e rilucevano di luce propria, sì che il palazzo era di per se stesso luminoso anche se mancava il sole. Così pure le camere, le logge e perfino i bagni erano di uno splendore abbagliante. Tutto il resto corrispondeva alla magnificenza di quel palazzo, sì che si poteva credere senza timore di sbagliarsi che quello fosse un edificio costruito apposta per il sommo Giove, perché potesse intrattenervisi con gli uomini.


 

Le voci misteriose

 

Psiche, attirata dalla delizia di quel luogo, si avvicinò, si fece un po' di coraggio e varcò la soglia del palazzo. Poi, fattasi sempre più ardita per quella stupenda visione, cominciò ad esaminare una per volta tutte le cose. Vide allora, dall'altra parte del palazzo, magazzini costruiti con arte mirabile, ove era accumulato ogni ben di dio. C'era lì tutto quello che esiste al mondo di prezioso. Ma il miracolo più grande sembrava non tanto quella abbondanza di ogni ricchezza, ma il fatto che quel tesoro che conteneva le ricchezze di tutto il mondo rimanesse lì incustodito, senza catene, senza lucchetti.
Mentre Psiche con grandissima gioia andava esaminando ogni cosa, sentì una voce incorporea che le diceva: "Perché, o signora, ti stupisci di fronte a tante ricchezze? Tutto quello che vedi è tuo. Entra nella tua stanza, riposa nel letto le tue membra stanche e poi quando tu lo vorrai, chiedi l'acqua per il bagno. Noi, che tu senti parlare, noi tue ancelle saremo pronte a servirti e ti apparecchieremo una tavola da regina appena ti sarai riposata".
Psiche riconobbe in quelle voci incorporee la felice assistenza di un dio provvidenziale, e prima col sonno poi col bagno si ristorò dalla stanchezza. Poi vide una tavola semicircolare che sembrava imbandita per la cena: sembrava che fosse pronta per lei, e allora vi si accomodò di buon grado.
E subito le furono portati vini profumati come il nettare e vassoi pieni di vivande prelibate senza che nessuno servisse a casa, ma come se tutto venisse mosso da uno spirito invisibile. Tuttavia lei non poteva vedere nessuno, ma udiva soltanto le parole che le giravano attorno, e aveva voci che la servivano.
Dopo la cena sontuosa entrò qualcuno e cantò non visto, poi un altro toccò la cetra, invisibile anch'esso, poi seguì un coro armonioso di voci concordi, e benché non si vedesse nessuno, era ben chiaro che si trattava di un coro.


L'amante invisibile

 

Terminate tutte quelle delizie, Psiche, venuta la sera, si abbandonò al sonno.
Ed ecco, nel cuore della notte, giunge alle sue orecchie un lieve rumore. Psiche allora, temendo in così grande solitudine al pensiero della sua verginità, comincia ad avere paura, la travolge un senso di orrore e teme l'ignoto più di ogni altro male.
Ma ecco che le si accosta lo sposo sconosciuto, sale sul letto e la fa sua; e prima che sorgesse il giorno se n'era già andato. Alcune voci, già attente e vigilanti nella stanza, curano alla novella sposa la piaga della verginità che le era stata tolta.
Questo si ripeté molte volte. E, come vuole la natura, questa novità ripetuta in una consuetudine assidua finì col procurarle un grande piacere, e il suono della voce sconosciuta riempiva di felicità la sua solitudine.
Intanto i suoi genitori invecchiavano nel pianto e nella angoscia, mentre si diffondeva ovunque la fama di quello che era accaduto. Le sorelle maggiori vennero a sapere ogni cosa, sicché addolorate e vestite a lutto lasciarono le loro case e si recarono dai loro vecchi genitori per vederli e confortarli.
In quella stessa notte lo sposo (che, anche se invisibile, Psiche poteva toccare e sentirne la voce) parlò a Psiche in tale modo: "Psiche dolcissima e cara sposa, un destino crudele ti minaccia di un pericolo mortale. Occorre perciò che tu stia molto attenta, prendendo ogni precauzione. Le tue sorelle sono agitate e pensano che tu sia morta, ma ti stanno cercando e fra non molto arriveranno anche a questa rupe. Tu, quando per caso udirai i loro pianti, non rispondere, anzi non preoccuparti affatto di vederle: altrimenti procurerai a me un dolore grandissimo e per te sarà la completa rovina". Psiche acconsentì, e promise che si sarebbe comportata secondo il volere di lui. Ma, quando con le tenebre si dileguò anche lo sposo, la poverina trascorse il giorno intero fra lacrime e lamenti, ripetendo a se stessa che veramente ora si sentiva finita, perché, rinchiusa in una prigione dorata e priva di ogni rapporto con le persone umane, non poteva neppure dare conforto alle sorelle, anzi non poteva neppure vederle.
Quel giorno non tentò neanche di risollevarsi col bagno, né con cibi, né con qualunque altra cosa, ma piangendo disperatamente si abbandonò al sonno.
Dopo poco sopraggiunse lo sposo, prima del solito, le si pose accanto mentre ancora piangeva, l'abbracciò e le disse: "Sono dunque queste, Psiche mia, le tue promesse? Che cosa devo ormai aspettarmi da te? Anzi, che cosa posso sperare? Eppure sono il tuo sposo! Non smetti di piangere né di giorno né di notte, anzi neppure tra le mie braccia. Fa' come vuoi, dunque, e obbedisci a ciò che ti comanda il tuo desiderio facendo il tuo male. Ti ricorderai del mio serio avvertimento quando sarà troppo tardi e dovrai pentirtene".
Così ella, pregando e supplicando lo sposo e minacciando che sarebbe morta se non fosse stata accontentata, ottenne il consenso che desiderava, di rivedere cioè le sorelle, di confortarle e scambiare con loro parole affettuose.
Lui cedette alle preghiere della sua sposa e per di più le concesse di regalare alle sorelle tutto l'oro e i gioielli che volesse, ma nello stesso tempo l'ammonì cercando anche di spaventarla dicendole di non dar retta alle cattive insinuazioni delle sorelle che le avrebbero suggerito di cercar di sapere chi lui fosse, se non voleva, a causa di una tale sacrilega curiosità, cadere dalla più grande felicità al colmo della sventura, perdendo per sempre la sua intimità con lui.
Psiche lo ringraziò e ormai tutta lieta gli disse: "Che io muoia mille volte, piuttosto che perdere te mio dolcissimo sposo! Perché io ti amo, e chiunque tu sia ti amo disperatamente, ti amo più di me stessa e non ti scambierei nemmeno con lo stesso Cupìdo. Ma ti prego di un'altra cosa: comanda a Zefiro, che si è dimostrato tuo servitore, di condurmi le mie sorelle con lo stesso mezzo con cui io sono giunta fin qui". E alternando i baci con le paroline dolci e stringendosi a lui con tutte le membra, mescolò con le carezze queste parole appena sussurrate: "Mio dolcissimo, mio sposo, dolce anima della tua Psiche!". Lo sposo non tardò a cedere, anche se contro voglia, alla forza e alla dolcezza di quelle parole sussurrate con seduzione, e le promise di fare ciò che desiderava; poi, essendo vicina la luce dell'alba, sparì dalle braccia della sposa.


 

La visita delle sorelle

 

Intanto le sorelle, che si erano fatte indicare il luogo e la rupe dove Psiche era stata abbandonata, vi accorsero in gran fretta e arrivate lì cominciarono a piangere e a percuotersi il petto, tanto che i sassi e le rocce risuonavano dei loro continui urli di dolore. Chiamavano per nome la misera sorella, finché, spaventata per le grida acute e lamentose che echeggiavano lungo il pendio, Psiche uscì dalla casa fuori di sé per l'inquietudine e disse: "Perché vi affannate inutilmente con questi urli strazianti? Sono qui, eccomi, sono io quella che voi piangete. Basta con questi lugubri lamenti, basta con questi pianti che bagnano le vostre guance! Asciugatevi il volto perché ormai potrete abbracciare colei che piangevate come morta!".
Poi chiamò Zefiro e gli comunicò l'ordine del marito.
Immediatamente quello obbedì al comando e con un lieve soffro di vento trasportò giù le sorelle sane e salve. E allora cominciarono a baciarsi ed abbracciarsi facendosi le feste l'una con l'altra, e rispuntarono anche le lacrime che prima si erano calmate, ma questa volta erano lacrime di gioia.
"Entrate, su, entrate pure", disse Psiche, "questa è casa mia, io abito qui ora! Consolate il vostro animo affranto con la vostra Psiche!"
Così dicendo le accompagnò a vedere le ricchezze di quella casa tutta d'oro e fece risuonare alle loro orecchie le numerose voci sempre in attesa dei suoi ordini, e per mezzo di esse le ristorò con un bagno delizioso e con la magnificenza di una mensa che sembrava imbandita per gli dèi, finché, quando si furono ben saziate di quella abbondanza di vivande divine, esse in fondo al cuore cominciarono a covare un senso d'invidia.
Alla fine una delle due, non riuscendo a trattenere la curiosità, cominciò a domandare con insistenza chi fosse il padrone di tante ricchezze sovrumane e chi fosse suo marito e che aspetto avesse.
Psiche stava attenta a non violare in alcun modo il divieto del marito, e conservava gelosamente il segreto del suo cuore, ma per dire qualcosa s'inventò che egli fosse un bellissimo giovane, con le guance appena ombrate dalla prima barba, occupato di solito a cacciare per montagne e pianure; poi, per paura di commettere qualche imprudenza continuando a parlare, e temendo di lasciarsi sfuggire quello che aveva promesso di tenere segreto, colmò le sorelle di re-gali d'oro lavorato e di monili tempestati di gemme e, chiamato lo Zefiro, gliele affidò perché le riportasse via.

Le sorelle di Psiche tramano il loro piano

L'ordine fu subito eseguito, e le buone sorelline, tornando a casa divorate dal fiele dell'invidia, cominciarono a fare chiacchiere a non finire.
Una sbottò dicendo: "Ecco com'è la Fortuna: cieca, crudele, ingiusta! Sarà contenta adesso che è riuscita ad assegnarmi una sorte così diversa, pur essendo figlie degli stessi genitori? E che noi due, che siamo le sorelle maggiori, siamo state date come schiave a mariti forestieri e dobbiamo condurre una vita da esiliate, lontano dalla casa pate
rna e dalla stessa patria, mentre lei, che è la più piccola, che con la sua nascita ha prosciugato l'utero ormai invecchiato di nostra madre, ha ottenuto tante ricchezze che non sa neppure come godersele, e si è presa come marito uno che sembra un dio!
Ma hai visto, sorella mia, che meraviglia d
i gioielli in quella casa, che splendore di stoffe, che scintillio di gemme, quanto oro sul quale dovunque si cammina? Se poi suo marito è bello come dice, non c'è al mondo una donna più felice di lei. Anzi può darsi che a lungo andare la consuetudine rafforzi l'affetto e che alla fine quel dio che è suo marito faccia dea anche lei! Ma diamine, è proprio così! Già si atteggia e si comporta come una dea! Già ora mira in alto, già ora, pur essendo donna, spira intorno divinità, lei che ha delle voci come ancelle e comanda perfino ai venti. Io invece, povera disgraziata, ho avuto in sorte un marito più vecchio di mio padre, pelato come una zucca, più bamboccio di un ragazzino, che sa solo tenere la casa chiusa a chiave con sbarre e catene!".
E l'altra: "Io sto anche peggio, che devo sopportare un marito tutto gobbo e rattrappito per l'artrite, e che per questo motivo ben raramente se la sente di far l'amore. Devo strofinargli tutti i momenti le dita storte e indurite come pietre, e rovinare le mie delicate manine con impiastri puzzolenti, bende sudicie e cataplasmi schifosi, non sostenendo la parte di una mogliettina gentile
, ma riducendomi a faticare come un'infermiera.
Ma a dir la verità, ti dico le cose come me le sento, mi sembra che tu sopporti questa vita disgraziata con troppa pazienza, direi con la rassegnazione di una schiava; io invece non ce la faccio più a sopportare che una tale fortuna sia capitata a una che non ne è degna. Non ricordi con che superbia, con che arroganza ci ha trattate, e come ha manifestato il suo orgoglio mettendoci sotto gli occhi tutti i suoi averi, e che poca roba ci ha poi buttato lì svogliatamente in dono: eppure le ricchezze non le mancano! E poi, infastidita dalla nostra presenza, ci ha fatto filare via, anzi ci ha fatto soffiare, fischiare dal vento!
Non sono una donna, e non sono neanche viva se non riuscirò a farla colare a picco dall'alto delle sue ricchezze. Se anche tu come me senti questa offesa bruciante, cerchiamo insieme una soluzione efficace.
Tanto per cominciare
, queste cose che portiamo via da lì non facciamole vedere ai nostri genitori né ad alcun altro; anzi non facciamo neppure sapere che lei è viva. È già troppo quello che abbiamo visto, perché anche i suoi genitori e il mondo intero sappiano la sua felicità. Infatti non sono veramente felici quelli di cui nessuno conosce la felicità.
Psiche deve imparare una buona volta che noi siamo sorelle maggiori, non schiave. E adesso torniamocene ai nostri maritini e alle nostre case povere ma almeno modeste. Intanto pensiamo bene al da farsi, poi torneremo più decise e castigheremo il suo orgoglio".
Questo perfido piano sembra buono alle due perfide, e cosi, nascosti tutti quei preziosi doni ricevuti, coi capelli scarmigliati e la faccia graffiata, come davvero avrebbero meritato, ricominciano ipocritamente a piangere. In tal modo, dopo aver inasprito il dolore e la disperazione dei loro genitori, ritornano gonfie di rabbia a casa loro, e intanto cercano il modo di architettare un piano ingannevole e scellerato, anzi un vero delitto contro l'innocente sorella.


Nuovi avvertimenti a Psiche

Intanto quell'ignoto marito ammonisce nuovamente Psiche nei suoi colloqui notturni: "Non vedi quale grande pericolo ti minaccia? La Fortuna ti insidia dall'alto, e, se non ti premunisci in tempo, ben presto ti aggredirà direttamente. Quelle due donnacce infami ti stanno tendendo con ogni mezzo un'insidia orribile, il cui punto culminante è questo: ti vogliono convincere a vedere il mio volto e tu sai, perché te l'ho detto altre volte, che se tu mi vedrai, non potrai vedermi mai più. Se dunque fra poco quelle due perfide streghe verranno da te nuovamente, e sono certo che verranno, armate di questi maligni suggerimenti, tu non parlare con loro per nessuna ragione. Ma se poi, a causa della tua semplicità e del tuo buon cuore, non saprai far questo, bada almeno a non ascoltare e non rispondere nulla di ciò che riguarda il tuo sposo.
Tra poco la nostra famiglia sarà accresciuta, perché questo tuo utero ancora di bimba porta un altro bimbo: sarà un dio, se saprai mantenere i nostri segreti, ma sarà un semplice mortale se li tradirai".
Psiche a quell'annuncio brillò dì gioia e cominciò a battere le mani all'idea di un figlio divino e si esaltava di fronte a quella promessa gloriosa e si compiaceva della dignità del nome di madre. Tutta ansiosa contava i giorni e i mesi che si susseguivano uno dopo l'altro, e nella sua inesperienza del nuovo peso della gravidanza, si meravigliava che per una così piccola puntura le si andasse ogni giorno di più ingrossando il ventre.
Ma ormai quelle due furie indiavolate e pestifere che sprizzavano veleno come le vipere, avevano preso il mare con una fretta foriera di tempesta.
Allora di nuovo quello sposo saltuario ammonisce la sua Psiche: "Ecco l'ultimo giorno, l'estremo momento: il sesso ostile e il sangue nemico ha già preso le armi, ha mosso il campo di battaglia, ha ordinato gli schieramenti, ha dato fiato alle trombe; ormai con la spada in pugno le tue infami sorelle mirano alla tua gola.
Quale rovina ci sovrasta, dolcissima Psiche! Abbi pietà di me e di te, mantenendo religiosamente il silenzio salva la tua casa, lo sposo e questa nostra creatura dalla sventura di questo disastro che ci è addosso!
E quelle scellerate che tu non puoi più chiamare sorelle, perché con il loro odio mortale hanno calpestato i vincoli del sangue, tu non devi vederle, non devi ascoltarle, quando come le Sirene faranno risuonare le loro voci funeste dall'alto della rupe".
Psiche gli rispose in mezzo alle lacrime: "Mi sembra che già da un pezzo ti ho dato prova di essere fedele e discreta, ed anche ora più che mai potrai apprezzare la mia fermezza d'animo.
Tu ordina soltanto al nostr
o Zefiro di rendermi il suo solito servizio, e invece della tua sacrosanta persona, che mi è vietata, concedimi almeno la vista delle mie sorelle.
Per questi tuoi morbidi e lunghi capelli profumati di cinnamomo, per queste tue guance lisce e vellutate, tanto simili alle mie, per questo tuo petto che brucia di non so qual calore
,
io ti prego! Concedi che un giorno io possa conoscere il tuo aspetto almeno nel volto del bimbo che porto in seno! Ti prego come una supplice di fronte a un dio: concedimi la gioia di poter riabbracciare le mie sorelle e consola in tal modo la tua devota Psiche! Non voglio più ormai conoscere il tuo volto, e non mi turbano più neanche le tenebre della notte: la mia luce sei tu, e sei mio!".
Lo sposo, vinto e conquistato da queste parole e dai teneri abbracci di Psiche, asciugandole le lacrime coi suoi capelli le promise di concederle ogni cosa, poi s'affrettò a sparire, prima che spuntasse il giorno.

 

Psiche è ingannata e vinta dalle sorelle

Le due sorelle, unite fra loro da un patto scellerato, senza neppure andare a far visita ai genitori, salirono su una nave e si diressero precipitosamente verso la rupe che ben conoscevano; poi, senza aspettare che il vento le raccogliesse, si lanciarono nel vuoto con folle temerità. Ma Zefiro, ricordandosi del comando ricevuto dal re, anche se controvoglia le accolse nel grembo della brezza che spirava e le depose al suolo.
Quelle subito, senza aspettare, entrarono nella casa e stringendo fra le braccia la loro preda che ipocritamente chiamavano sorella, e nascondendo dietro a un volto lieto il cumulo di perfidia che covavano in cuore, così presero ad adularla: "Oh Psiche, tu non sei più una bimba come prima! Sei già una mamma! Che bel tesoro ci porti in questo tuo pancino! Che festa sarà per tutta la famiglia! Beate noi che avremo la gioia di nutrire questo tuo bimbo d'oro! E se sarà bello come i suoi genitori, com'è naturale, nascerà proprio un nuovo Cupìdo!".
Così, facendo finta di volerle un gran bene, un po' alla volta fanno breccia nel cuore della sorella.
Psiche subito le fece riposare dalla stanchezza del viaggio, le ristorò con un bel bagno vaporoso, e le fece passare in una splendida sala da pranzo dove vennero servite con meravigliose e squisite vivande e deliziosi intingoli. Poi comandò a una cetra di suonare, e si sentì una cetra, ordinò un suono di flauti, e i flauti suonarono, chiese un coro che cantasse, e il coro cantò. Eppure non si vedeva nessuno, mentre dolcissime melodie accarezzavano l'animo di chi ascoltava.
Ma neppure la soave dolcezza di quella musica bastò ad intenerire e a calmare la malvagità di quelle due scellerate; ma, volgendo il discorso in modo che andasse a finire nel trabocchetto che avevano preparato, cominciarono a chiedere a Psiche come fosse suo marito, dove fosse nato e da quale famiglia. E lei, dimenticando nella sua semplicità quello che si era inventata la volta precedente, raccontò un'altra storiella; e disse che suo marito era un ricco mercante di una regione vicina, che era di mezza età, che aveva i capelli già un po' brizzolati.
Poi, senza dilungarsi in queste chiacchiere, le colmò nuovamente di ricchissimi doni e le rimandò sulla solita vettura fatta di vento.
Mentre il lieve soffio dello Zefiro le riportava a casa attraverso l'aria, parlavano tra loro dicendo: "Ma hai sentito, sorella, che razza di mostruose bugie si é inventata quella sciocca? Prima suo marito era un giovinetto col volto appena ombrato da una lieve lanugine, adesso è di mezza età e già un po' brizzolato. E che uomo è questo, che diventa vecchio in così poco tempo?
I casi sono due: o quella è una disgraziata che inventa una storia sull'altra, o non ha mai visto la faccia di suo marito. In ogni modo bisogna toglierla assolutamente da tutte quelle ricchezze. Se non conosce la faccia di suo marito, allora vuol dire che ha sposato un dio, e sarà un dio anche il bambino che porta. Se le cose stanno così (dio non voglia!) io corro subito a impiccarmi a una corda con un buon nodo.
Ma torniamo dai nostri genitori, e dopo tante chiacchiere cominciamo a passare ai fatti, combinando un bell'intrigo".
Così, tutte arrabbiate, salutarono sgarbatamente i genitori e, dopo una notte insonne e tormentata, il mattino dopo si precipitarono nuovamente alla rupe come due forsennate, e di lì col solito aiuto del vento scesero giù rapidamente.
Poi, spremendosi le palpebre, riuscirono a far scendere qualche lacrima e infine cominciarono a raggirare Psiche con queste parole: "Beata te che non capisci niente, e che te ne stai lì tranquilla senza renderti conto del pericolo che corri! Noi invece che ci preoccupiamo tanto per te non facciamo altro che tormentarci per la tua disgrazia. Noi sappiamo con certezza, e non possiamo più nascondertelo perché partecipiamo troppo intensamente al tuo dolore e alla tua sventura, che, senza che tu lo sappia, una bestia spaventosa giace con te tutte le notti: è un serpente mostruoso che si avvolge in cento spire, che ha un collo sanguinante di veleno mortale e un'enorme gola spalancata.
Ricordati l'oracolo: aveva predetto che eri destinata ad un mostro.
E poi molti pastori e molti cacciatori ed anche moltissima gente che abita da queste parti l'ha visto quando ritorna la sera dal pascolo e nuota nelle acque del fiume vicino.
Tutti dicono che non durerà ancora molto a lungo a farti ingrassare dandoti da mangiare prelibate vivande, ma quando il tuo utero sarà arrivato al termine della gravidanza ti divorerà insieme col frutto prelibato che ti avrà riempito.
Adesso decidi tu: o dai retta alle tue sorelle angosciate per la tua vita che hanno tanto a cuore, e, sfuggendo la morte, vieni a vivere con noi senza pericoli, oppure sarai seppellita nelle viscere di questa bestia crudelissima.
Se poi sei così contenta di stare in questo deserto pieno di voci a far l'amore clandestinamente con questa bestia fetida e pericolosa e ti piace questo rapporto intimo con un drago velenoso, fa' pure: noi abbiamo assolto al nostro dovere di sorelle affettuose".
Allora la povera Psiche, semplice e tenera nel suo animo, fu presa da un indicibile spavento al sentire parole così terrificanti; fuori di sé dimenticò tutti gli avvertimenti del suo sposo e le promesse che gli aveva fatto e precipitò in un abisso di angoscia, e tremante, pallida e senza vita cominciò a balbettare con un fil di voce parole smozzicate, in questo modo: "Voi, carissime sorelle, certamente vi comportate come è giusto, spinte da quel dovere che vi viene imposto dal vostro santo affetto, ma non mi sembra che dicano bugie anche quelli che vi hanno raccontato queste cose.
Infatti io non ho mai visto in faccia mio marito, e non so neppure di che paese sia; ma se penso ai discorsi che mi fa nei suoi colloqui notturni devo dire che sono sottomessa a un marito di condizione ignota, che fugge la luce. Perciò devo ammettere che voi diciate la verità affermando che si tratto di una belva. Inoltre cerca di spaventarmi in ogni modo affinché io non voglia vederlo, e, minacciandomi, mi predice grandi sventure se io insisterò a manifestare il desiderio di vedere il suo volto.
Se voi potete in qualsiasi modo aiutare questa vostra infelice sorella, fatelo subito, per carità, altrimenti la vostra trascuratezza annullerebbe il vantaggio della precedente sollecitudine".
Allora quelle scellerate videro aperto il varco nell'animo di Psiche e, messe da patte le insidie di ogni trama nascosta e impugnando apertamente la spada dell'inganno, irretiscono l'animo dell'ingenua fanciulla.
E
l'altra soggiunse: "Poiché il vincolo della parentela ci spinge a tenere sempre gli occhi aperti per la tua incolumità sul minimo pericolo che si possa presentare, vogliamo suggerirti un mezzo che potrà condurti alla salvezza. Ci abbiamo lungamente pensato e meditato.
Nascondi sotto il letto, dalla parte dove tu sei solita dormire, un rasoio affilato, che potrai rendere anche più tagliente passandolo sul palmo della mano. Poi metti una lucerna piena d'olio, che faccia una luce ben chiara, dentro un recipiente ben chiuso, in modo che non si possa vedere. Dopo tutti questi preparativi fatti nel più grande segreto, aspetta il momento in cui quello, muovendosi sulle sue spire, si sarà trascinato nel letto come è solito fare e, vinto dal primo sonno, dimostrerà russando di essersi profondamente addormentato: allora tu scivola giù dal letto e camminando pian piano e con cautela, a piedi nudi, estrai la lucerna dalle tenebre della cieca prigione in cui è stata rinchiusa, poi, con l'aiuto della luce, cogli il momento opportuno per la tua coraggiosa impresa e con la destra, sollevando arditamente il rasoio, colpisci con tutte le tue forze il malefico serpente fra capo e collo.
Sta' certa che ti aiuteremo. Noi naturalmente sentiamo tutta la trepidazione dell'attesa, ma quando avrai ucciso il serpente non dovrai temere più di nulla; porteremo via tutta questa roba insieme a te e penseremo poi a unire in liete nozze te, che sei una creatura umana, a uno sposo umano".
Con queste parole di fuoco incendiarono l'animo già ardente della sorella, e poi se ne andarono subito, spaventate anch'esse dall'imminenza di quel delitto che avevano suggerito. Come
al solito furono sollevate dalle ali del vento sopra la rupe e, salite sulla nave, se ne andarono in gran fuga.
Psiche, rimasta sola, anzi non sola ma agitata dalle Furie nemiche, ondeggia come le onde del mare in una gran tempesta di pensieri lugubri. E sebbene ormai decisa risolutamente a portare a termine il piano predisposto, nel momento di passare all'esecuzione di questa scellerata impresa, rimane ancora esitante nell'incertezza, spinta in varie direzioni da pensieri diversi.
Ora si affretta ora indugia, ora si sente piena di coraggio ora si lascia prendere dallo sgomento, ora dubita, ora si adira: insomma nello stesso corpo odia il mostro e ama lo sposo.
Tuttavia, quando ormai la sera era inoltrata, in gran fretta compie la preparazione dell'infame delitto. Giunge la notte, e arriva anche lo sposo che, dopo le prime coniugali battaglie amorose, cade in un sonno profondo.

 

Psiche vede Amore

Allora Psiche, debole per natura nel corpo e nell'animo, ma resa coraggiosa dal suo crudele destino, raccoglie tutte le sue forze e, tratta fuori la lucerna ed estratto il rasoio, si ritrova un coraggio da uomo. Ma appena al chiarore della lampada apparve lo sposo segreto, ella vide la belva più mite e la più dolce di tutte le fiere: Amore, il bellissimo dio, bellissimo anche nel sonno, alla cui vista si rallegrò anche la lampada e balenò di luce splendente la lama dell'arma sacrilega.
Psiche, atterrita e fuori di sé, coperta da un pallore mortale, tremante, cadde a terra sulle ginocchia e voleva nascondere la lama piantandosela nel cuore. E l'avrebbe fatto certamente, se la lama stessa, impaurita da quel delitto atroce, non le fosse sfuggita dalla mano audace.
E oramai priva di forze, spossata come era, ecco che guardando la bellezza di quel volto divino riprende sempre più animo. Vede il biondo capo e i fluenti capelli umidi d'ambrosia, vede sul collo bianco come il latte e sulle gote rosate le morbide ciocche di capelli sparse alcune sul petto, altre sulle spalle: d'innanzi a questa bellezza sfolgorante anche la stessa fiamma della lucerna sembrava vacillare.
Sulle spalle del dio alato splendevano piume morbide di rugiada sfolgoranti di sfavillante fulgore, e, sebbene le ali stessero ferme, le piumette che si trovavano all'estremità tremolavano sussultando scherzosamente e senza posa. Il resto del corpo era liscio e splendente e tale che la stessa Venere non poteva pentirsi di averlo generato. Ai piedi del letto giacevano le armi dell'infallibile Iddio: l'arco, la faretra, le frecce.
Psiche con curiosità insaziabile si sofferma a guardarle e le tocca e ammira le armi del suo sposo, poi estrae una freccia dalla faretra e toccando con il pollice la punta acuta, facendo un movimento un po' troppo brusco con la mano ancora tremante si punge piuttosto profondamente il dito, cosicché a fior di pelle escono alcune goccioline di rosso sangue, come rugiada.
Così l'ignara Psiche per colpa sua fu presa dall'amore di Amore.
Allora, sentendo crescere irresistibilmente dentro di sé la voluttà per il dio della voluttà, china su di lui con le labbra dischiuse prese a baciarlo e ribaciarlo con baci appassionati, senza freno, temendo solo che si svegliasse.


Scomparsa di Amore

Ma, mentre delirava ferita dall'eccitazione di quell'indicibile piacere, la lucerna, o per malvagia perfidia o per odiosa gelosia o perché desiderosa anch'essa di toccare e quasi di baciare un corpo così bello, fece schizzare fuori dalla punta della sua fiamma una goccia di olio bollente che andò a cadere sulla spalla destra del dio.
Oh audace e temeraria lucerna, vile strumento d'amore, tu hai osato bruciare il dio di ogni fuoco, tu che sei stata certamente inventata da un innamorato che voleva godere più a lungo, anche di notte, le dolcezze tanto desiderate!
Così il dio, sentendosi scottare, balzò su dal letto e vide l'oltraggio e il tradimento di ogni promessa di fedeltà. Senza dire una parola volò via, sfuggendo ai baci e alle mani dell'infelicissima sposa.
Ma Psiche, mentre egli si alzava nel volo, si aggrappò con tutte e due le mani al piede destro del dio, come una miserabile appendice di quel sublime innalzamento, e continuò così a seguirlo ancora per le regioni nuvolose del cielo, finché esausta si abbatté sul suolo.
II divino amante non la abbandonò così buttata per terra, ma volò su un cipresso lì vicino e dall'alto di quella vetta, profondamente commosso, le parlò in questo modo: "Proprio io, mia ingenua Psiche, proprio io
, disobbedendo ai comandi di mia madre Venere che ti voleva innamorata di un uomo miserabile e abbietto, e condannata a sposarlo, sono volato da te e sono divenuto il tuo sposo.
Ho agito con troppa leggerezza, lo so; io, il famosissimo arciere, mi sono ferito con le mie stesse armi e ti ho fatta mia sposa perché tu poi mi credessi una bestia e volessi con un'arma tagliarmi la testa, quella testa che porta gli occhi innamorati di te! Eppure in ogni momento io ti mettevo in guardia contro un tale pericolo e più di una volta ti ho amorosamente avvertito!
Ma quelle tue egregie consigliere avranno il castigo che si meritano per i loro malvagi insegnamenti; tu invece sarai punita soltanto con la mia fuga".
E, dopo aver parlato in questo modo, si levò rapidamente in alto sulle ali.
Psiche, prostrata a terra, cercava di seguire con gli occhi il volo dello sposo fin dove poteva, e intanto sfogava l'angoscia del suo animo con lamenti disperati. Poi, quando il movimento delle ali portò via Cupìdo nella profondità dello spazio e lo rese invisibile, lei si gettò giù a capofitto dalla sponda del fiume vicino. Ma il fiume....

(traduzione di Gabriella D'Anna)

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Nota 1 - Il portarsi la mano alla bocca era un consueto gesto di omaggio religioso, ancora oggi in uso presso il popolo
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Nota 2 - Si tratta di Paride che assegnò a Venere il famoso pomo della Discordia. Era figlio del re Priamo, ma era stato esposto e poi allevato e nutrito da pastori
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Nota 3 - Apollo
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Nota 4 - Il suono dei flauti nei funerali
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