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INDICE:

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Cenni di prosodia e metrica

PREMESSA:

Anzitutto occorre prendere atto di un dato elementare quanto fondamentale: la metrica latina e greca è diversa dalla nostra, estranea alla nostra sensibilità linguistica e quindi riproducibile solo in parte e convenzionalmente.

La metrica italiana è accentuativa, basata sul ritmo; infatti:

  1. si basa sull'alternanza di sillabe accentate (toniche) e sillabe prive di accento (àtone);

  2. è isosillabica, ossia prevede un numero fisso di sillabe per ogni tipo di verso (10 per il decasillabo, 11 per l'endecasillabo, etc.);

  3. assegna una posizione costante agli accenti ritmici (ad es., nell'endecasillabo essi possono trovarsi sulla 4°, 8° e 10° sillaba, oppure sulla 4°, 7° e 10° sillaba, oppure sulla 6° e 10° sillaba);

  4. non altera la pronuncia naturale delle parole (ad es. non potremo mai pronunciare tavòlo invece di tàvolo);

  5. impiega spesso la rima.

La metrica latina e greca, invece, è quantitativa; essa cioè:

  1. si basa sul principio musicale della successione di sillabe lunghe e brevi (le prime vengono "tenute" un tempo doppio delle seconde);

  2. non prevede un numero fisso di sillabe (ad es. l'esametro può averne da 12 a 17);

  3. non assegna una posizione fissa agli accenti ritmici (detti ictus metrici);

  4. può alterare la pronuncia naturale delle parole;

  5. non impiega la rima.

E' dunque di fondamentale importanza, per la metrica latina e greca, saper distinguere la quantità delle sillabe: di questo si occupa la prosodìa.


PROSODIA:

Si dice prosodìa il complesso delle regole dell'accentazione e della quantità sillabica delle parole.

In generale:  

- una sillaba è breve se contiene una vocale breve: si riconosce da quel segno caratteristico, simile ad una piccola mezzaluna, tracciato sopra di essa nei vocabolari e nelle grammatiche (ĕ);

- una sillaba è lunga se contiene una vocale lunga o un dittongo: una vocale lunga si riconosce da quel segno caratteristico, simile ad un trattino, tracciato sopra di essa nei vocabolari e nelle grammatiche (ē);

- una sillaba si dice ancìpite se la sua quantità è indifferente.

Per riconoscere la quantità delle sillabe esistono alcune regole (ma è di fondamentale importanza consultare il vocabolario in caso di dubbio):

- legge della penultima (vedi sotto);

- i dittonghi (ae, au, ei, eu, oe, ui) sono lunghi;

- una vocale breve, quando è seguita da due o più consonanti, viene considerata lunga (si dice "lunga per posizione"). Questo vale anche per le consonanti "doppie", come la x (che si pronuncia cs e quindi conta per due) e anche se le due consonanti fanno parte della parola successiva;

- una vocale seguita da un'altra vocale è considerata breve (vocalis ante vocalem brevis);

- positio debilis: la vocale che precede due consonanti delle quali la prima è una muta (b, c, d, g, p, ph, t, th) o f + una liquida (l, r) è in posizione debole, cioè può essere sia lunga sia breve;

- unius, istius, ipsius, ullius, totius hanno la I di -IUS lunga;

- I finale è lunga (fanno eccezione nisi, quasi; è ancipite in mihi, tibi, sibi, ubi, ibi);

- O finale è lunga (fanno eccezione ego, duo, modo);

- U finale è lunga;

- as, -os, -es finali sono lunghe;

- is finale è generalmente breve;

- us finale è generalmente breve;

- una parola non monosillaba, che termini in consonante diversa da s, ha l'ultima sillaba generalmente breve;

- i monosillabi che escono in vocale sono generalmente lunghi;

- i monosillabi uscenti in consonante sono generalmente brevi (fanno eccezione i monosillabi sostantivi o aggettivi come ver, pes etc., che sono lunghi);

- le sillabe che terminano in -c sono lunghe (fa eccezione donec, che ha la -e- breve);

- sono brevi le enclitiche -que, -ve, -ne.

Le regole per la pronuncia del latino (clicca qui per ulteriori dettagli) sono tre:

1) "legge della baritonèsi": in latino l'accento non cade mai sull'ultima sillaba: non esistono quindi parole tronche, tipo "città". C'è qualche eccezione, ma solo apparente: adhùc, illìc, illùc e parole del genere; ma in realtà si tratta di parole apocopate, ovvero mutile dell'ultima sillaba (in origine erano adhùce, illìce, illùce);

2) "legge del trisillabismo": in latino l'accento non può mai cadere oltre la terzultima sillaba: quindi può esserci al massimo una parola sdrucciola, tipo "tàvolo" (ad es. ìncipit), ma assolutamente non una parola bisdrucciola, tipo "telèfonami";

3) "legge della penultima": nelle parole di tre o più sillabe, si possono verificare due casi:

  1. - la penultima sillaba è lunga: in tal caso l'accento cade su di essa; es.: vidēre = vidére;

  2. - la penultima sillaba è breve: in tal caso l'accento cade sulla sillaba precedente; es.: legĕre = lègere.

 

PRINCIPI GENERALI DI METRICA LATINA

Si dice PIEDE l'unità di misura metrica, cioè un gruppo di sillabe brevi e lunghe riunite sotto un ICTUS (= accento ritmico). Nel piede si distinguono: ARSI (parte forte, "in battere", cioè quella su cui cade l'ictus) e TESI (parte debole, "in levare"). Tale denominazione è alquanto discutibile e comunque valida solo in relazione alla metrica latina: infatti in quella greca è vero l'esatto contrario, come del resto è evidente dall'etimologia dei due termini ("arsi", da àiro = "alzo", è il tempo debole, e "tesi", da tìthemi = "colloco", è il tempo forte). La lettura metrica di un verso si chiama SCANSIONE.

I piedi principali sono:

 

 = trochèo

 = dàttilo

 = spondèo (può sostituire un dattilo)

 = giambo

 = trìbraco

 = anapesto


Sono ascendenti i piedi che cominciano con una tesi (tempo debole);

sono discendenti i piedi che cominciano con un'arsi (tempo forte).

Si dicono ACATALETTICI i versi che terminano con un piede intero;

si dicono CATALETTICI i versi che hanno l'ultimo piede mancante di una o più sillabe (ad es. l'esametro dattilico).

All'interno di un verso esistono delle pause ritmiche di lettura:
- la cesura (da caedo = taglio), che spezza un piede (mai una parola);
- la dièresi (dal greco diairèo = separo), che non spezza mai un piede, ma cade sempre alla fine di esso.
La cesura è detta maschile se si trova dopo una sillaba in arsi, femminile se si trova dopo una sillaba in tesi.


FENOMENI PARTICOLARI


SINALEFE (meno propriamente ELISIONE): una sillaba finale in vocale o terminante in -m si fonde con la sillaba iniziale della parola seguente se questa comincia con vocale o con h.

Es.: conticuere omnes = conticueromnes; cuiquam aut = cuiquaut.

AFERESI: si ha la caduta della sillaba iniziale delle forme verbali es o est se queste sono precedute da parole terminanti in vocale o in -m. 

Es.: tactus aratro est = tactus aratrost.

IATO: si ha quando, per motivi metrici, tra le due vocali che si incontrano non avviene sinalefe.

Es.: pecuri et (Virgilio), dove -i non si elide.

SINCOPE: caduta di una vocale breve all'interno di una parola. 

Es: caldus per calidus.

APOCOPE: caduta della vocale finale. 

Es: nec per neque.

 

SINIZESI: fenomeno che consiste nel considerare unite in una sola sillaba due vocali che appartengono a due sillabe diverse.

Es.: di-e-i (trisillabo) = di-ei (bisillabo).

 

DIERESI: è l'opposto del precedente: consiste nel considerare separate due vocali che appartengono a un dittongo. Di solito è segnalata dal simbolo ¨ sopra la seconda vocale del dittongo.

Es.: au-rum (bisillabo) = a-ü-rum (trisillabo).

 

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Schema dei principali versi

Esametro dattilico catalettico:

 

Tìtyre, tù patulaè recubàns sub tègmine fàgi

sìlvestrèm tenuì Musàm meditàris avèna.

 

Schema delle cesure e delle dièresi:

a = semiternaria (o tritemìmera)

b = semiquinaria (o pentemìmera)

c = trocaica o del terzo trocheo (katà trìton trochàion)

d = semisettenaria (o eftemìmera)

e = dièresi bucolica (o femminile).

 

Esempio:

Tìtyre, tù patulaè || recubàns sub tègmine fàgi

cesura semiquinaria

sìlvestrèm || tenuì Musàm || meditàris avèna.

cesure semiternaria + semisettenaria.

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Distico elegiaco (esametro + pentametro):

 

 

Dìcebàs quondàm | solùm te nòsse Catùllum,

Lèsbia, nèc prae mè | vèlle tenère Iovèm.

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Endecasillabo falecio:

 

Cùi donò lepidùm novùm libèllum

àridà modo pùmice èxpolìtum?

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Trimetro giambico (senario giambico):

La forma pura, costituita da sei giambi, è piuttosto rara; al posto del giambo possiamo trovare alcune soluzioni metriche: lo spondeo, il trìbraco, l'anapesto, il dattilo e perfino il rarissimo proceleusmàtico (successione di quattro brevi).

 = giambo

 = spondèo

 = trìbraco

 = dàttilo

 = anapesto

 

N.B.: alcuni metricologi accentano tutti e sei i "piedi" giambici: ne risulta una pronuncia tipo "papà, papà, papà, papà, papà, papà". Poiché però l'unità di misura è costituita dalla coppia di giambi (da cui il nome greco di "trìmetro"), altri propongono di accentare solo i "piedi" pari (da cui una pronuncia tipo "venite giù, venite giù, venite giù"); la pronuncia più diffusa è però quella che accenta solo i tre "piedi" dispari (pronuncia tipo "facèvano, facèvano, facèvano"), come a noi pare preferibile.

 

  1. Phasèlus ìlle quèm vidètis, hòspitès (tutti i piedi accentati: "papà, papà, papà, papà, papà, papà");

  2. Phaselus ìlle quem vidètis, hospitès (piedi pari accentati: "venite giù, venite giù, venite giù");

  3. Phasèlus ille quèm videtis, hòspites (piedi dispari accentati: "facèvano, facèvano, facèvano").

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Trimetro giambico scazonte (coliambo):

 

 

N.B.: alcuni metricologi accentano tutti e sei i "piedi" giambici; altri propongono di accentare solo i "piedi" pari; la pronuncia più diffusa è però quella che accenta solo i tre "piedi" dispari più il piede "zoppo" finale, come a noi pare preferibile.

 

 

  1. Misèr Catùlle, dèsinàs inèptìre (tutti i piedi accentati)

  2. Miser Catùlle, desinàs ineptìre (piedi pari + piede zoppo accentati)

  3. Misèr Catulle, dèsinas inèptìre (piedi dispari + piede zoppo accentati).

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Strofe saffica minore (3 endecasillabi saffici + 1 adonio):

 

 

 

 

 

 

Fùri et Àurelì, comitès Catùlli,

sìve in èxtremòs penetràbit Ìndos,

lìtus ùt longè resonànte Eòa

tùnditur ùnda.

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Strofe alcaica

(2 endecasillabi alcaici + 1 enneasillabo alcaico + 1 decasillabo alcaico):

 

 

 

 

Vidès ut àlta | stèt nive càndidum

Soràcte nèc iam | sùstineànt onus

silvaè labòrantès gelùque

flùmina cònstiterìnt acùto.

 

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Asclepiadeo maggiore:

 

N.B.: Il "segreto" per riuscire a leggere questo verso, bellissimo e molto musicale, ma un po' astruso, è di far sentire in modo marcato le tre pause.

La pronuncia comunque non è sicura: alcuni metricologi accentano sia la prima sia l'ultima sillaba, altri solo una delle due, come a noi personalmente pare preferibile, altri nessuna delle due. C'è poi chi omette il quinto ictus metrico. Noi, per completezza, riportiamo tutti gli accenti nel primo esempio.

 

  1. (tutti gli ictus):

    Àlfene ìmmemor àt || que ùnanimìs || fàlse sodàlibùs,

    iàm te nìl miserèt, || dùre, tuì || dùlcis amìculì

  2. (tutti gli ictus tranne l'ultimo):

    Àlfene ìmmemor àt || que ùnanimìs || fàlse sodàlibus,

    iàm te nìl miserèt, || dùre, tuì || dùlcis amìculi? 

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