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L’autore piange la morte del secondo figlio

 

Dopo queste disgrazie mi appoggiavo sull'unica speranza del mio Quintiliano e sul piacere (che mi procurava), e (questo) conforto poteva bastare. (Egli) aveva mostrato infatti non fiorellini, come il primo (figlio), ma, entrato ormai nel decimo anno di età, (aveva fatto vedere) frutti formati e maturi. Giuro sulle mie disgrazie, sulla consapevolezza della mia infelicità (lett.: sulla infelice consapevolezza), su quei Mani, (che sono) le divinità del mio dolore, di aver visto in lui queste virtù, non solo (le capacità) dell'ingegno, per apprendere le (varie) discipline, (ingegno) di cui non conobbi nulla di più eccezionale, pur avendone sperimentati moltissimi, e (le capacità) di uno studio fin d'allora (lett.: già allora) non costretto, i maestri (lo) sanno (bene), ma (le virtù) dell'onestà, del rispetto, della cordialità, della generosità, al punto che davvero poteva esserci in base a questi segnali (lett.: da qui) la paura che si abbattesse (su di me) un fulmine così grande (lett.: la paura di un fulmine tanto grande), perché è stato generalmente osservato che una precoce maturità muore troppo in fretta e che c'è non so quale maleficio che distrugge speranze tanto grandi, evidentemente perché le nostre sorti non vadano oltre il limite concesso all'umanità (lett.: non siano fatte andare avanti oltre quanto è stato consesso all'uomo). Erano presenti (in lui) anche tutte quelle doti procurategli dalla sorte (lett.: fortuite), la piacevolezza e la chiarezza della voce, soavità di linguaggio e, come se fosse nato proprio per ciascuna di esse (lett.: per quella), in entrambe le lingue (aveva) capacità di esprimersi correttamente in ogni tipo di opere letterarie.

 

 

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